La piccole media impresa padovana si internazionalizza. A Cluj Napoca, nella Romania nord-occidentale, la nuova frontiera geo-produttiva. Non solo attività mature ma aziende ad alta tecnologia. Grazie a ingegneri e informatici della locale Università TRANSILVANIA, PROVINCIA DI PADOVA Rossi Luciani: “Delocalizzare, una scelta strategica. Ora è necessaria una maggiore azione di sistema”. E Unindustria potenzia la base commerciale nella terra di Dracula
(Padova - 10.10.2001) - Se la Romania è l’ottava provincia veneta, per la gemmazione dei distretti industriali verso l’area balcanica, nel cuore nord-occidentale della Romania, in Transilvania, sta crescendo un’enclave di piccole e medie imprese padovane, proiettate sulla rotta dei Balcani dalla competizione globale e attratte da un appetibile mix di vantaggi.
Un quadro generale di convenienze (minore costo dei fattori produttivi, lavoro e materie prime: l’affitto di un capannone costa 5 dollari al mese il metro quadro, il recupero di un capannone per uso industriale 200mila lire al metro quadro, un capannone nuovo sulle 500mila lire), una burocrazia decisamente semplificata (che rende possibile registrare in cinque giorni una società e in venti farsi rilasciare le concessioni edilizie). Ma soprattutto un clima culturale, una facilità di comunicazione (si parla una lingua neolatina, di facile comprensione), un’intraprendenza e una rete di relazioni sociali affini a quelle del Nordest. Cui si aggiunge la prospettiva dell’ingresso nell’Ue, destinata a moltiplicare l’interesse per la Romania come base operativa.
Nel comprensorio di Cluj Napoca, quinta città rumena con i suoi 330mila residenti (400mila nell’hinterland urbano), sede della seconda Università di Romania e di tre atenei privati (42mila studenti) che sfornano laureati di alto profilo, sono insediate 617 aziende italiane, il 25% delle quali viene dal Veneto. Le imprese padovane sono una trentina, pilotate da Unindustria Padova che a Cluj Napoca ha dapprima stabilito e da poco potenziato la sua base commerciale in Romania.
La delocalizzazione che transita da Cluj è fatta di piccole e piccolissime realtà industriali. Oscartielle (azienda della galassia Arneg), Ceam Cavi, produttrice di cavi elettrici e coassiali, Hanna Instruments, “multinazionale tascabile” di apparecchi di misura per i liquidi, Asa International, azienda “leggera” che progetta e realizza software: sono alcune delle 30 imprese padovane che per le quali la presenza a Cluj è “una scelta strategica”.
E’ proprio questa la realtà che esplorerà la missione economica di Unindustria Padova, che sarà a Cluj Napoca dal 10 al 12 ottobre, guidata da Carlo Sabattini presidente del consorzio Uniexport. Un contatto diretto con le aziende ed una serie di incontri istituzionali per consolidare legami e sondare nuove opportunità. E per gettare nuove basi al progetto di “esportare” in Romania la rappresentanza degli imprenditori italiani, cui hanno già aderito Confindustria e Confartigianato.
“La presenza padovana a Cluj - spiega Sabattini - è peculiare. E’ fatta soprattutto di piccole realtà industriali con fatturato fra i 5 e i 10 miliardi, e di comparti diversificati: non solo produzioni labour intensive ma attività ad alto contenuto tecnologico, grazie ad un’Università che prepara ingegneri ed informatici di alto profilo (il 20% dei quali è assorbito dagli Usa). Il processo appare inarrestabile: delle 30 delocalizzazioni assistite da Unindustria Padova negli ultimi tre anni, 15 sono avvenute quest’anno.
“La delocalizzazione è un fenomeno strutturale nella strategia di internazionalizzazione delle imprese, anche le più piccole”, conferma Luigi Rossi Luciani, presidente di Unindustria Padova e degli Industriali del Veneto. “Aziende fortemente esposte sui mercati internazionali non possono prescindere dal ricercare basi all’estero: per riequilibrare i costi di produzione e resistere alla concorrenza di prezzo dei Paesi emergenti, per presidiare i mercati di riferimento e rendere servizi più efficienti, per superare, nei settori di punta, la carenza di figure specializzate che c’è in Italia, o anticipare le mosse dei concorrenti sui mercati potenziali”.
Non una fuga dunque, ma la ricerca di competitività. “Il nostro sistema dimostra capacità reattive alle nuove sfide. L’impresa investe laddove trova un quadro di convenienze. Ormai è assodato che la delocalizzazione è una strategia di crescita, al di fuori di un territorio come il Veneto saturo di aree e di risorse umane, che non depaupera i livelli di occupazione e mantiene in casa le produzioni qualificate”.
La preoccupazione semmai è un’altra. “Mentre noi discutiamo da anni sul fare sistema, sulla formazione e sul dialogo università-imprese - aggiunge il presidente degli industriali padovani - “l’esperienza di Cluj e della Romania, con la crescita del settore informatico dovuta a un’istruzione di qualità a costi competitivi e ad un sistema formativo e produttivo che sanno dialogare, ci dice qualcosa anche riguardo alla tenuta competitiva del Nordest. Sollecitandoci a superare in fretta i gap strutturali del nostro sistema, per non dovere scoprire, domani, di essere stati superati dai Paesi emergenti”.
“Delocalizzare serve ma non basta - conclude Rossi Luciani -. Spingersi all’estero con la base del sistema funziona se in parallelo si aumenta il valore di quanto resta qui, con massicci investimenti in intelligenza (ricerca, istruzione, formazione) e in strutture di relazione, a iniziare dalla logistica. Nodi su cui il Nordest è da sempre debole e che deve attrezzarsi a risolvere in fretta”.
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