Comunicato Stampa

Dagli assali Carraro all’intimo Tognon, dalle elettropompe Sea Land ai condizionatori Uniflair. Anche Hemina e Argenterie Greggio studiano indiano. Un’inchiesta di InFormazione, il magazine di Unindustria Padova, scopre i campioni che hanno fatto rotta su New Dehli

PASSAGGIO IN INDIA: ECCO I “PIONIERI” DEL MADE IN PADOVA ALLA CONQUISTA DEL GIGANTE D’ASIA

Bonàiti: “E’ uno dei mercati del futuro. Le nostre imprese non possono restare fuori”.
Lo scatto delle esportazioni: +46,5% nel 2004, +37,5% nel primo semestre 2005


(Padova - 07.11.2005) - C’è la media impresa di Campodarsego e Conselve, la piccola di Torreglia e Montagnana. C’è l’intimo di qualità e l’elettronica sofisticata, la componentistica meccanica e l’agroindustria, l’argenteria e il condizionamento. In comune hanno il “made in”: Italy naturalmente, e più precisamente Padova. E l’aver lanciato la campagna d’India alla ricerca di nuovi vantaggi e opportunità. Con oltre un miliardo di persone e una crescita quasi a due cifre (+8,2% nel 2004), l’India è il secondo mercato strategico d’Asia. Sospeso fra tradizioni millenarie e occidentalizzazione, cresce a ritmi “cinesi” ma è più accessibile per via della lingua, la legislazione anglosassone, un sistema formativo e università di prim’ordine.
Una terra promessa dell’economia globale che attrae le imprese del Nordest. E anche a Padova cresce l’interesse, sulla scia dei pionieri che in riva al Gange hanno già portato impianti, tecnologia, reti distributive e di un export padovano che galoppa: +46,5% nel 2004, +37,5% nel primo semestre 2005. Storie di piccoli e medi imprenditori “indiani” raccontate nell’inchiesta che InFormazione, il magazine di Unindustria Padova diretto da Sandro Sanseverinati, dedica al “passaggio in India” delle aziende padovane, all’internazionalizzazione nel paese-continente che vale quasi metà del mercato europeo, con una classe media di 250 milioni di consumatori.
Il primo nome è quasi scontato: Carraro, che in India ha mosso i primi passi verso l’internazionalizzazione. Con lungimiranza, Mario Carraro ha scelto di investire a Bombay quando in pochi guardavano all’India come ad un angolo strategico di mondo. L’azienda di Campodarsego - leader mondiale nei sistemi di trasmissione, con insediamenti in 9 Paesi, oltre 2.200 addetti nel mondo e un fatturato di 524 milioni - è partita con una joint venture nel 1997 e nel 1999 Carraro India ha avviato la produzione a Pune, su una superficie di 81mila mq (16mila coperti). Oggi impiega 176 persone. Ma le potenzialità sono ancora grandi e Carraro ha deciso di raddoppiare l’investimento: a fianco del primo insediamento partirà entro il 2005 Turboghios Ltd (80% Carraro International, 20% Carraro India). Il nuovo stabilimento (78mila mq) si concentrerà sugli ingranaggi, con un investimento di 19 milioni realizzerà a regime un fatturato di 20 milioni, impiegando 300 persone.
Tra i pionieri sulla via dell’India, il padovano Bernardo Tognon ha realizzato il progetto più “estremo”. Pur rimanendo socio della MMP di Padova - azienda tessile con una decina di addetti e le funzioni di una holding - è divenuto a tutti gli effetti un imprenditore dell’intimo in India. Con InIt Ltd, società di diritto indiano con sede a Tamil Nadu di cui è Ceo, Tognon gestisce l’intero ciclo fino alla commercializzazione. Tanto che se il fatturato di MMP in Italia è di 5 milioni, quello in India si avvicina ai sei. È cambiato il modo di internazionalizzare: “Abbiamo iniziato a produrre in India nel 1986 per abbassare i prezzi - spiega -. Allora si producevano 400mila pezzi al mese tra slip e t-shirts, che passando per l’Italia erano destinati alla grande distribuzione. Oggi InIt produce per l’Italia e l’Europa capi di alta qualità, realizzati interamente a mano lavorando fino a 20 giorni per un pezzo, cosa insostenibile per qualsiasi produttore occidentale”. Vent’anni fa Tognon scelse il “fattore uomo”, il rapporto positivo con i lavoratori e la flessibilità. “La fluidità è altissima - sottolinea -. InIt impiega mediamente 300 persone, ma quando abbiamo grosse commesse arriviamo a 1.200”. Oggi c’è una ragione in più per investire in India. “Questo è un paese cresciuto con rapidità enorme: in trent’anni siamo saltati al cellulare e al wireless senza passare dal telefono, dai macchinari costruiti al lume di candela alle tecnologie importate dall’Occidente. E se per l’intimo non esisteva un mercato interno, oggi ci sono potenzialità straordinarie”.
Chi ha scoperto che il made in Italy vince in India, per qualità dei prodotti e riconoscibilità del marchio, è Sea Land di Torreglia, specializzata nella produzione di pompe e compressori (42 addetti e 5 milioni di fatturato, con la controllata Digi). “La nostra presenza commerciale in India risale al 1998 e nel 2000 abbiamo siglato una joint venture tecnica - spiega l’export manager Paolo Berlose -. Il nostro partner opera in esclusiva con supporto tecnico e consulenza di Sea Land, sviluppando macchine che vengono commercializzate con il doppio marchio”. La quota parte dipende dai risultati commerciali, come una royalty. Attraverso questo accordo l’azienda padovana si garantisce oggi la presenza e la riconoscibilità del marchio, ma l’obiettivo finale è un altro: “Quando si allenterà il peso della tassazione sui prodotti importati, oggi al 38%, probabilmente riusciremo a vendere macchine realizzate in Italia - rilancia Berlose - distribuendo in India la tecnologia e il nostro design innovativo”.
Punta sui grandi clienti, dalle società telefoniche a quelle di elaborazione dati, Uniflair Europe, gruppo da 55 milioni di fatturato (70% dall’export) e 300 addetti, con quartier generale a Conselve, leader nel condizionamento di precisione, la refrigerazione e la pavimentazione sopraelevata, operativo in India attraverso la controllata Uniflair India Ltd. “Il nostro prodotto ha un forte contenuto tecnologico e si pone su una fascia alta”, premette Davide Zardo, responsabile sviluppo che ha curato la penetrazione nel paese asiatico. “Abbiamo costruito una partnership con i migliori operatori in grado di curare la commercializzazione, ma anche l’installazione e la manutenzione, con il supporto logistico e la consulenza dalla sede padovana. Le tasse sulle importazioni si superano grazie a sgravi o benefici sui dazi di cui godono le grandi compagnie nostre clienti”. Attualmente Uniflair vende in India circa 3-4mila pezzi l’anno, con un fatturato di oltre 3 milioni. Ma parlare di produzione diretta in India è quanto meno prematuro.
Hanno partecipato alla missione confindustriale a Bombay nel febbraio scorso e avviato un’indagine di mercato per costruire una rete commerciale in India. Ma alle Argenterie Greggio di Selvazzano Dentro non pensano proprio a spostare la produzione. “Per noi è un obiettivo secondario”, afferma deciso Marco Greggio, amministratore delegato dell’azienda di famiglia, 200 dipendenti e un fatturato di 18,5 milioni. “Non lo escludiamo a priori, ma dovremmo trovare un partner locale in grado di garantire i requisiti di qualità che il nostro marchio richiede”. Invece la penetrazione commerciale in India è una priorità ed entro il 2005 sarà aperta una base commerciale. Perché la nuova frontiera è ad Oriente: “Paesi come India, Cina e Turchia hanno una tradizione antica nei prodotti preziosi - spiega Greggio -. Esiste una forte produzione locale, artigianale, ma è molto ricercato il made in Italy con un design innovativo, soprattutto come articolo da regalo e per le liste nozze”.
India o non India, è il dilemma di Hemina, dinamica azienda di Montagnana che produce sensori per la misurazione di portata. Perché un passo falso, per un’azienda con 15 addetti e 2 milioni di fatturato, potrebbe essere fatale. “Ci muoviamo con i piedi di piombo - conferma il consigliere di amministrazione Stefano Frigo - ma l’attenzione è alta. Il nostro prodotto arriva in una fase matura di industrializzazione e oggi il mercato locale ha numeri molto modesti, anche se nel medio termine sarà molto interessante. Ma l’India può diventare la base per una produzione mirata sull’area asiatica oppure per realizzare alcuni semilavorati”. Per l’azienda di Montagnana, che realizza il 75% del fatturato sui mercati esteri, si tratta di abbinare il proprio know how vincente ad una rete commerciale. “Noi non produciamo con il marchio Hemina - conclude Frigo -. I nostri concorrenti sono Siemens o ABB, ma noi realizziamo progetti che alcuni partner distribuiscono. In India potremmo impostare un’operazione analoga”.

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